Ricevuto da "retescuole" e pubblicato: e noi cosa faremo?
E voi cosa farete? di Michele Corsi.
Il DDL Gelmini è stato approvato ieri anche al Senato. Gli studenti universitari di Roma avevano dato vita il giorno prima ad una grande manifestazione pacifica. A dieci giorni dai "moti" del 14 dicembre, forse è possibile qualche considerazione che può esserci utile per i tempi a venire.
I giorni successivi al 14 i media hanno enfatizzato al massimo gli incidenti che si erano prodotti dopo l'annuncio del voto di fiducia a Berlusconi, mentre l'imponente manifestazione della mattina era subito sparita dalla visualizzazione informativa. Questa scelta è ovvia per le tv di Berlusconi:
avevano la necessità di ricondurre tutto ad una questione di ordine pubblico. Il problema è che la stessa scelta ha caratterizzato anche il racconto della giornata da parte dei media che si posizionano contro Berlusconi, o per lo meno non sono a lui troppo favorevoli.
Eppure gli incidenti occorsi in Piazza del Popolo e dintorni erano di una
gravità ben inferiore a quella che si era registrata in situazioni analoghe ad
Atene e Londra. I media inglesi e greci, però, non hanno sottolineato più di
tanto quelle espressioni "violente". E non hanno perso di vista il "nocciolo"
della questione.
Nei giorni successivi il 14, poi, spariva dai media il "nocciolo" della
questione, cioé il fatto che il Senato si apprestasse a votare il DDL Gelmini,
mentre si moltiplicavano gli allarmi per la manifestazione studentesca che si preparava.
Non è solo questione di media. Le "organizzazioni di massa" d'opposizione,
politiche e sindacali, si sono espresse allo stesso modo: l'impressione che
davano era che temessero di più la possibilità di incidenti che il passaggio
parlamentare del DDL Gelmini. Gli incidenti del 14 hanno fatto scattare tutta una serie di reazioni automatiche anche in quegli intellettuali che, almeno in teoria, dovrebbero manifestare simpatia nei confronti degli studenti. Saviano ha usato accenti molto duri verso i "50 imbecilli" che secondo lui avrebbero provocato incidenti, in una lettera che, a sua volta, non offriva nemmeno una riga, però, al "nocciolo" della questione, cioé la riforma Gelmini.
In realtà la ricostruzione degli avvenimenti del 14, offerta da un volume tale di testimonianze da renderla inoppugnabile, permette una lettura ben diversa da quella poco accorta di Saviano. Nella mattina si erano svolte manifestazioni che avevano visto marciare insieme pezzi fondamentali dell'opposizione "di base" al governo: studenti, metalmeccanici, terremotati, ecc. Una inedita unità assai poco sottolineata. L'annuncio che Berlusconi era sopravvissuto ha fatto scattare un senso di impotenza enorme: noi che là non c'eravamo possiamo però ben intuire, andando con la nostra memoria emotiva a quel momento, il desiderio intenso, battuto, che Berlusconi fosse sfiduciato. La massa frustrata si è poi trovata nell'impossibilità di manifestare questa emozione sotto i palazzi del potere. La polizia aveva infatti bloccato gli accessi alle strade con i suoi mezzi. A parte qualche episodio marginale, la rabbia dei manifestanti si è sfogata contro quei mezzi, cioé contro l'ostacolo fisico che li separava dalla possibilità di manifestare il proprio dissenso. Un ostacolo che in altri Paesi non c'è. Gli studenti inglesi hanno potuto manifestare anche sotto Westminster, i manifestanti del Tea Party statunitense hanno invaso addirittura il Congresso per protestare contro la riforma sanitaria e nessuno ha tolto loro un capello.
Che i cittadini possano protestare sotto i palazzi del potere è un diritto
democratico, che va difeso. Non è cosa "naturale" isolare i luoghi della
democrazia e delle decisioni dalla libera espressione della gente.
Nei primi giorni dopo il 14, gran parte della sinistra e del "popolo viola" ha
cercato di leggere quegli incidenti come opera di infiltrati. Non si può negare la possibilità che vi fossero infiltrati, ma le "prove" che sono state portate non hanno retto due giorni. Si è passati allora ad incolpare misteriose cupole di centri sociali ed antagonisti, settori politici in realtà divisi e in crisi quanto lo sono i partiti della sinistra più moderata. Eppure i fatti hanno la testa dura: gli studenti arrestati erano incensurati e sconosciuti ai nutriti schedari della polizia; l'episodio del ragazzo che ne ha colpito col casco un altro nell'intento grottesco di "fare servizio d'ordine", è la dimostrazione della totale confusione che regnava nella piazza; nelle assemblee della Sapienza che si sono svolte dopo il 14 non vi è stato alcun settore significativo di studenti che abbia rinnegato i fatti del 14. Gli stessi studenti che sono stati ricevuti da Napolitano, oggi osannati, hanno comunque fatto educatamente presente al Presidente che loro erano gli stessi del 14.
Queste reazioni automatiche e impaurite da parte di media, intellettuali ed
organizzazioni del campo "antiberlusconiano" ci dicono una cosa, molto semplice:
non si vuole accettare che il 14 c'è stata una reazione di massa, radicale,
rabbiosa, violenta e spontanea. Quello che una volta si chiamava "moto di
piazza". I ricordi citati sono andati, con grande stupore da parte degli
studenti, al '77, una congiuntura storica che non ha nulla a che vedere con
l'attualità. Anche gli intellettuali che ancora oggi fanno riferimento a
quell'esperienza hanno cercato di intepretare i fatti in quella chiave,
compiendo un errore di analisi speculare alla sinistra più moderata, ma
altrettanto grave: non hanno perso l'abitudine di valorizzare i fatti sociali
solo quando questi si manifestano in scontri con le forze dell'ordine; oggi,
dopo la manifestazione pacifica del 22, non sanno che dire.
In realtà il 14 dicembre assomiglia a ciò che è avvenuto tante volte nella
storia d'Italia. I moti spontanei di chi si opponeva al fascismo nelle strade di Parma, i moti dei ragazzi con le magliette a strisce del 1960, quelli degli
universitari di Valle Giulia nel 1968, o degli operai di Corso Traiano nel 1969.
Tutti episodi, violenti, spontanei e di massa, che hanno segnato epoche, e ai quali, a posteriori, gli storici di qualsiasi orientamento attribuiscono una
importanza fondamentale per il mutamento progressivo della nostra società. Anche perché molti dei loro protagonisti siedono ora negli uffici dirigenti di banche,
tv, giornali o sugli scranni del Parlamento, in tutte e due gli schieramenti.
Certe analisi ossessionate dalla non violenza ascoltate in questi giorni, mi
ricordano la rigidità di certe ideologie che ascoltavo con scetticismo in
passato quando qualche gruppetto spiegava tutto a suon di citazioni tratte dai sacri testi. L'Unità d'Italia che ci apprestiamo a celebrare è stata fatta con delle guerre, dal fascismo ci siamo liberati con la guerriglia. I non violenti assoluti ci riflettano. Non perché oggi dobbiamo fare le stesse cose (mi pare ovvio che NON dobbiamo fare le stesse cose), ma perché l'ideologia pacifista, al pari di qualsiasi ideologia, ci impedisce di cogliere i fenomeni sociali nuovi che accadono sotto i nostri occhi. I moti del 14 dicembre non vanno giudicati: vanno analizzati. Essi ci sono stati, stanno lì davanti a noi, ci parlano: dobbiamo ascoltarli. E, a mio avviso, ci dicono questo.
Il nostro Paese è stanco di quella massa di buffoni che siede al governo. Gli
studenti universitari di Roma (così come gli studenti medi hanno fatto a Milano) hanno attraversato, per la prima volta, i quartieri popolari: se fossero stati considerati una massa di facinorosi, come sono stati dipinti per dieci giorni dai media, pensiamo davvero che sarebbero stati accolti così festosamente dai loro abitanti? Gli automobilisti bloccati si sarebbero messi a salutarli col clacson invece di sclerare? In Italia c'è una massa di scontento in ebollizione che attende il momento di farla finita con questo governo, dentro un incrocio, estremamente pericoloso per i potenti, ma che dovrebbe essere magico per le forze di opposizione, di crisi politica e crisi economica, in una situazione in cui anche le forze dell'ordine si sentono poco rispettati da chi li comanda. Una coincidenza che in altri Paesi ha provocato "moti" che hanno spazzato via governi e dittatori nel giro di pochi giorni.
E' quello al quale dobbiamo lavorare? No di certo. Non siamo il Kirghizistan. Ma la potenza inespressa della rivolta che cova nella massa di studenti, precari, operai, dovrebbe dire alle forze politiche e sindacali che allo scontento collettivo va dato espressione, spazio, organizzazione, forza d'impatto. Un piccolo esempio. Una settimana fa Forza Nuova voleva aprire una sede in pieno centro a Milano. Cosa succede normalmente in questi casi? Che si muovono gruppi più o meno organizzati di giovani che per impedire lo scempio si "scontrano" con le forze di polizia pagando prezzi altissimi in termini di denunce, ecc. Invece questa volta è accaduto un fatto nuovo: l'iniziativa se l'è presa in carico la Camera del Lavoro. Ed ha imposto con la propria "mole" e Ia propria iniziativa che quella sede non venisse aperta. Il risultato è stato ottenuto lo stesso, ma senza incidenti, senza violenza, senza giovani denunciati o manganellati dalla polizia. La Camera del Lavoro di Milano è rivoluzionaria? No: è una tra le più moderate d'Italia e il suo segretario è considerato un terrificante "destro". Ma ha capito una cosa: è il vuoto di iniziativa di chi dovrebbe organizzare la rotesta che provoca "incidenti". La violenza nasce dal basso nel momento in cui dall'alto delle organizzazioni, ci si rifiuta di usare la forza di cui si dispone. Per questo la sinistra ha difficoltà a "vedere" i moti del 14 dicembre: perché costituiscono lo specchio della propria inazione.
Quindi, cari politici e intellettuali che avete predicato sino alla noia in
questi giorni sul pericolo della violenza, ora, cosa farete? Cosa farà Susanna Camusso, neosegretaria della Cgil, che agli studenti ha raccontato che "non ci sono le condizioni per lo sciopero generale"? Potrebbe spiegare a noi lavoratori quando queste condizioni sarebbero propizie? Aspetta che Berlusconi si rafforzi di nuovo? O che il tasso di disoccupazione raddoppi? O che Marchionne sia imitato da ogni padrone in tutta Italia? Cosa farà Pantaleo, segretario della FLC, il potente sindacato dei lavoratori della conoscenza, che pronuncia molti discorsi di sinistra, va alle manifestazioni della Fiom, ma non ha fatto l'unica cosa concreta di sinistra che avrebbe potuto fare e cioé proclamare uno sciopero della scuola e dell'università? Cosa farà Bersani, il grande stratega politico che in una situazione estremamente propizia come l'attuale l'unica cosa che gli viene in mente è promettere a Casini la futura presidenza del consiglio? Casini, quello che è d'accordo con la riforma Gelmini della scuola, che apprezza Marchionne e che se ne frega della disoccupazione? E Saviano, lo aspettiamo al varco: ha dato degli "imbecilli" a quelli del 14, provi ad insultare con pari passione anche Fini, che ha votato a favore del DDL Gelmini. Signori, quando comincerete ad analizzare i fenomeni sociali e ad ascoltarli invece di precipitarvi a condannarli? Quando comincerete a fare il vostro mestiere? Siete contenti? Gli universitari il 22 hanno dimostrato quello che già era evidente:
di essere ragionevoli e intelligenti. Bene, e ora voi, dirigenti della sinistra,
dirigenti dei sindacati, intellettuali, voi: cosa farete?
Michele Corsi
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