LA CLASSE
di Laurent Cantet
PROIEZIONE N. 1 CINEFORUM CPS
FILM
RESOCOCONTO DELLE RIFLESSIONI COLLETTIVE a cura di Fabrizia
Provo a fare una sintesi dei contenuti emersi lunedì 1 febbario, durante la proiezione del film La classe, tenendo conto che sarà in parte necessario semplificare alcuni passaggi.
Tra relazione introduttiva e confronto successivo, sono stati messi in luce i seguenti aspetti:
1) IL CARATTERE ANTIRETORICO DEL FILM: QUALE RAPPORTO TRA ESTERNO E INTERNO?
Abbiamo notato come la dinamica rappresentata nel film non sia quella, comune a molti film sulla scuola (Attimo fuggente, Meri per sempre), in cui, in un contesto problematico, pieno di contraddizioni sociali, compare la figura dell'insegnante illuminato che, facendo forza sulla sua volontà, la sua passione, il suo carisma, risolve e scioglie di fatto i problemi che incontra, trasformando individualmente (ed un po' idealisticamente) la realtà stessa. Nel film si mette invece in luce come l'intervento generoso e problematico del docente si realizzi non astrattamente, ma all'interno di un contesto sociale che ne determina gli esiti, i successi ed i fallimenti (e per contesto sociale si intende l'istituzione scolastica nel suo complesso: dalle classi, con la loro esplosiva composizione sociale, agli organi collegiali, i programmi e contenuti da trasmettere, le procedure, i rapporti con i genitori).
Nel film infatti, la scuola è vista come un osservatorio, un luogo sociale dove si esprimono, concentrate, tutte le dinamiche e i conflitti che esistono all'esterno (abbiamo notato come questa “fiducia realistica”, si ritrovi nella stesse scelte stilistiche del film: tutta la pellicola, il cui titolo originale è, emblematicamente, Dentro le mura, viene girata, dall’inizio alla fine, esclusivamente dentro gli edifici scolastici, con uno taglio semidocumentaristico, in cui tutti recitano, o meglio rappresentano se stessi, nessuno è attore professionista). L’idea del regista sembra essere quella che, filmando e osservando la dinamica e la quotidianità dentro la scuola, fatta di lezioni, colloqui con i genitori, collegi, consigli ecc... , si venga automaticamente a conoscenza di tutto quello che c'è fuori: provenienza e situazione sociale dei ragazzi, atteggiamento della società verso di loro ed in generale, organizzazione e divisione dei ruoli, ecc...). Insomma, la scuola come concentrato di una realtà esplosiva non disinnescabile soltanto con un intervento individuale, e non riducibile a nessuna lettura consolatoria
(in questa rappresentazione oggettiva, complessa, non agiografica né manichea della realtà scolastica, concentrata sul “fare” dei docenti, sulla materialità quotidiana del loro lavoro, il film è apparso un prodotto difficilmente immaginabile in una realtà come quella italiana, dove solitamente ben altra, più limitata e fumosa, è la rappresentazione della vita scolastica e dei docenti, alla meglio ancora legata ad una dinamica da libro Cuore, alla peggio imbrigliata in uno sfondo privinciale e macchiettistico…si veda ad esempio la serie televisiva sulla scuola in onda sulla Rai)
Proprio questo taglio del film ha suscitato tra noi un dibattito, tra chi ha considerato tale modalità di rappresentazione un suo elemento di forza, un modo di rappresentare pienamente e implacabilmente il funzionamento e i molteplici piani che, oggettivamente, attraversano un’istituzione, e chi invece l’ ha avvertito come limite, sottolineando che, attraverso questo sguardo, troppi aspetti della realtà rimangono fuori, non indagati, ma al massimo semplicemente rappresentati, e proponendo l’idea che questa scarsa relazione con l’esterno potrebbe proprio essere uno dei motivi dell’immobilismo e della conservazione manifestata nel film da parte di tutta l’istituzione scolastica.
2) RAPPORTO INSEGNANTE-CLASSE: QUALI CONTENUTI? QUALE TRASMISSIONE DIDATTICA?
Tutti siamo stati d’accordo nel notare come nel film, girato quasi interamente in classe, durante le faticosissime ed intensissime lezioni di italiano del professor Françoise (protagonista ed autore del libro, che quindi rappresenta se stesso in aula), emerga chiaramente un dato:
● quello che la scuola cerca di trasmettere ed il modo in cui cerca di farlo, sono spesso lontanissimi da quello che gli studenti riconoscono come loro esigenze e bisogni immediati.
I ragazzi inchiodano continuamente e strenuamente l'insegnante a motivare fino in fondo il suo operato, a spiegare il motivo di quello che sta trasmettendo, la sua utilità per loro, che evidentemente è lontana dall'essere immediatamente compresa e riconosciuta (proprio per la focalizzazione sulle ore di lettere, questo conflitto nel film passa moltissimo attraverso la lingua, di cui si sottolinea, ad esempio nella lunga scena dell’insegnamento del congiuntivo, il carattere di classe e di selezione): il docente cerca continuamente di misurarsi con queste “accuse”, riuscendo a volte a venirne fuori, altre rimanendovi invischiato lui stesso, in un botta e risposta stimolante, ma sfiancante. Alcuni di noi hanno notato come momenti di coinvolgimento e risultati più inclusivi, si verifichino quando l’insegnante riesce ad utilizzare il suo approccio linguistico-letterario per far esprimere gli alunni, quando la lingua diventa per loro un canale di comunicazione (e sono così disposti anche a riconoscere le diverse possibilità espressive della lingua: per esempio nella scena del tatuaggio, dove l’alunno riconosce che il messaggio che ha scritto sul braccio, detto proprio in quel modo e non in un altro “è più bello”) e si intrecci anche con altre modalità espressive (le immagini fotografiche per raccontare se stessi). Ci è sembrato anche che la stessa dinamica della lezione frontale o semifrontale, che il docente cerca spesso di scompaginare, ma dovendo comunque rimanere all’interno di una struttura che questo prevede, viene fortemente subita dagli alunni, costretti ore in banchi stretti, che a fatica contengono i loro corpi in crescita, la loro energia fisica, i loro oggetti (come può emergere dalla scena della "zainata" in piena faccia, frutto non di un gesto premeditato, ma di un incidente seguito ad uno scatto di rabbia che la ristrettezza degli spazi amplifica e trasforma in una piccola tragedia), e relegati , durante la ricreazione, in un giardino cementato chiuso tra i muri della scuola dove sfogano tutta la loro aggressività.
È proprio l’aggressività, l’atteggiamento di fondo, continuo con cui il docente si deve confrontare, un’aggressività che è verso la società che relega e concentra queste masse di francesi di serie B in luoghi separati, dove non possono che riconoscersi e amplificare tra loro il meccanismo di esclusione, e che si traduce quindi in avversione verso la scuola, principale interfaccia della società con cui si relazionano e che spesso non riesce ad intervenire se non arginando possibili derive attraverso interventi repressivi.
A questo proposito è stato molto interessante l’intervento di Dina, che ha visto nella realtà rappresentata dal film molti aspetti in comune con la propria esperienza scolastica (istituto per sordi, dove di fatto vengono dirottati moltissime situazioni borderline): partendo dalla propria faticosissima esperienza quotidiana, la compagna del coordinamento, ha sostenuto e motivato l’impossibilità, da parte del singolo docente, di poter influire su un sistema che, in contesti del genere, dovrebbe essere ripensato alla radice, raccontando che a volte, proprio un intervento didattico che tenti di costruire un dialogo e regole diverse con gli alunni, cercando di scavalcare la logica di contrapposizione alunni-adulti, può riscontrare più difficoltà ed andare incontro a maggiori problemi e sconfitte, rispetto ad una gestione più autoritaria e semplificata della situazione.
4) L’INSEGNANTE E
Il rischio di queste situazioni, di questi interventi soggettivi, è stato nuovamente, da alcuni di noi ricondotto alla mancanza di un rapporto con un fuori, che ci permetta di confrontarci, relativizzando, socializzando e contestualizzando il nostro lavoro, allargando la nostra prospettiva ed il nostro punto di vista: un po’ quello che possono rappresentare luoghi come le nostre riunioni....
3) RAPPORTO TRA INSEGNANTI: QUALE COLLEGIALITÀ? QUALI I MARGINI DI INTERVENTO, IL POTERE LE POSSIBILITÀ E LE RESPONSABILITÀ DEL CORPO DOCENTE? : i momenti di confronto tra insegnanti, molti e diversi all’interno del film, sono apparsi a tutti noi problematici e faticosi: i docenti, sembrano scontare una difficoltà di fondo nell'ascoltarsi e nel saper interagire tra di loro, le loro opinioni ed esperienze scolastiche non vengono mai socializzate fino in fondo e ricondotte ad una sintesi (interessante per notare questa distanza, oltre alla conflittualità dei colloqui collegiali, la dfficoltà e scarsa convinzione - quasi formalità- con cui vengono proposti, da un docente all'altro, dei "collegamenti interdisciplinari"). Ancora di più la difficoltà di strategia dei docenti appare nel riuscire a gestire in maniera progressiva e non repressiva un contesto difficile come la scuola di banlieu.
Proprio sotto questo aspetto si può osserare meglio quello che si intende per carattere antiretorico del film, e che veniva ricordato da Dina: è proprio il professore che maggiormente cerca di investire sulla comunicazione e lo stimolo, e di mantenere delle maglie più larghe rispetto a sanzioni e punizioni, che viene di fatto coinvolto nell'episodio più difficile della storia, senza riuscire a modificarne gli esiti, determinati da regolamenti, atteggiamenti, approcci che riflettono la difficoltà (e forse l'impossibilità) della scuola nel poter, da sola, trovare risposte adeguate a situazioni la cui difficoltà riguarderebbe di fatto tutta la società.
Questo aspetto ci è sembrato per noi docenti, decisamente interessante, perché ci spinge ad interrogarci in generale su come si possa praticare una vera collegialità all'interno del nostro lavoro: il fatto che i momenti istituzionali ci siano, non significa che vengano effettivamente riempiti di significato.
Proprio riguardo al ruolo e alla responsabilità dei docenti, si è sviluppato tra noi un confronto tra coloro che proponevano una lettura più deterministica della realtà, dove è il contesto complessivo a fissare il reale margine di intervento del singolo, e altri che invece valorizzavano di più la responsabilità individuale sottolineando che, essendo la scuola portata avanti proprio dai docenti, sono proprio i limiti di questi, la loro gestione repressiva, nel film, a rappresentare l’ostacolo maggiore alla costruzione di una realtà diversa; altri ancora invece, coglievano una situazione più sfumata, in cui all’interno di una forte determinazione del contesto sul singolo intervento, rimangono comunque al docente alcuni margini importanti di libertà. Gli stessi esiti dell'intervento didattico del docente ha riscosso tra noi letture diverse: alcuni hanno sottolineato gli aspetti più disarmanti, come la lettura in piena autonomia della Repubblica di Platone da parte di un’ alunna particolarmente polemica ed aggressiva, che sembra voler denunciare la mancanza di stimoli interni alla scuola, e la loro ricerca altrove ( ma forse, anche qualcosa delle lezioni di italiano, l’ha portata a poter maturare una lettura del genere?) , la disperata confessione finale dell’alunna che sente di “non capire, non aver imparato niente”, l’espulsione dell’alunno più problematico;
altri, pur riconoscendo l’esistenza di sconfitte e fallimenti, notavano che, in termini di costruzione di competenze di base, di possibilità espressive, di valorizzazione di se stessi e di rapporti con gli altri, l’intervento del docente, (che presenta alla fine dell’anno, rilegate le loro autobiografie agli alunni), non cade completamente nel vuoto, ma si presenta come il tentativo faticoso di costruire un confronto reale, una possibilità e un punto di vista con cui gli alunni sono chiamati collettivamente a fare i conti, utilizzando la mente e le parole per motivare in maniera comprensibile, dare forma, al proprio disagio (non solo con le smorfie e le urla, che atterriscono l’insegnante di tecnica fuggito esasperato dall’aula esclamando “Ma alla fine…non siamo mica dei cani…), conoscersi ed ascoltarsi, raccontare se stessi: è insomma, con tutti i suoi limiti, pur sempre la possibilità di uno spazio collettivo di crescita, una possibile educazione alla libertà in un luogo che è insieme antilibertario.
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