INVITIAMO GLI INSEGNANTI A METTERE IN PRATICA TUTTE LE POSSIBILI
FORME DI BOICOTTAGGIO DEI TEST INVALSI:
È ANCORA POSSIBILE FAR APPROVARE NEI COLLEGI DOCENTI ORDINI DEL GIORNO
CONTRARI ALLA SOMMINISTRAZIONE DELLE PROVE!
(es. di delibere e riferimenti normativi su
http://www.comune.bologna.it/iperbole/coscost/scuolesupbo/sabin_invalsi.pdf
http://www.forumscuole.it/no-invalsi
http://www.nonrubatecilfuturo.it/vi-segnaliamo/invalsi-rifiutate-di-svolgere-o-subire-i-test
http://www.retescuole.net/contenuto?id=20100427071100
Nella scuola italiana si sta assistendo in questi giorni a un diffuso moto di opposizione, da parte di docenti e collegi, alla somministrazione delle prove Invalsi, già in uso nell’esame di terza media, agli alunni delle classi seconde e quinte della secondaria superiore. Come Coordinamento Precari Scuola vogliamo esprimere la nostra adesione al no e provare a riformulare la questione della valutazione.
L’Invalsi è un istituto finalizzato, come rivela il nome stesso, alla valutazione a livello nazionale del sistema dell’istruzione e negli anni, come naturale, si è avvalso perciò degli strumenti classici della rilevazione statistica, cioè prove a campione e anonime. Queste sono state trasformate, soltanto attraverso un automatismo quantitativo, in test valutativi e nominali di tutti gli studenti e non più del sistema. Oltre al limite già evidente in questo processo, che ha completamente escluso la partecipazione dei docenti, ciò che è inaccettabile è la logica sottesa a questa operazione: essa rientra infatti nel più generale progetto di drastica riduzione degli investimenti nella formazione per cui, progressivamente, potrebbero avere diritto ad un qualche finanziamento del Ministero solo quelle scuole che raggiungeranno risultati soddisfacenti in questo tipo di prova (e di conseguenza, vedranno reintegrare quella quota di salario sottratta dalla probabile cancellazione degli scatti di anzianità solo quei docenti che potranno vantarsi “meritevoli”, cioè le cui classi saranno in grado di superare brillantemente i test). In tal modo quindi, prima si effettuano dei sostanziosi tagli all’istruzione pubblica, poi, per rendere ideologicamente accettabile questa politica, si scarica la responsabilità sulle scuole e i docenti, colpevoli di non produrre “successo formativo”, cioè superamento delle prove ministeriali, e meritevoli di fondi ed incremento salariali solo quando ciò avvenga.
QUALI SONO ALLORA QUESTI CRITERI E MECCANISMI CHE REGOLEREBBERO
1) La prova Invalsi, così come ora concepita, si somministra a tappeto su tutto il territorio nazionale, identica per qualsiasi tipo e contesto scolastico: in che modo verrebbero allora riconosciuti i differenti livelli di partenza che caratterizzano non solo scuole situate in contesti ambientali tra loro molto diversi, ma anche classi diverse all’interno di uno stesso istituto?
Sappiamo tutti come, in molte situazioni, quello che veramente è importante nella relazione educativa è la costruzione di un percorso, cioè una trasformazione progressiva da una situazione iniziale: i risultati raggiunti quindi, saranno strettamente dipendenti dal punto di partenza ed è difficile uniformarli in astratto.
2) La prova Invalsi prevede sostanzialmente soltanto domande a risposta chiusa (quiz):
se sicuramente adatta per verificare alcune conoscenze, tale modalità non funziona per moltissimi altri aspetti “complessi”, su cui la scuola lavora e approfondisce.
Nella prova di III media di italiano dello scorso anno ad esempio, sono state poste sotto forma di domande chiuse, molti quesiti che, per loro natura, prevedevano uno spazio ed una flessibilità nella risposta non previsto dalla prova stessa. In questo modo il rischio è che vengano sempre più incentivate capacità come la velocità ed una comprensione più formalistica che sostanziale: riconosciamo l’importanza di abituare gli alunni ad utilizzare prontamente ed in maniera duttile le loro competenze, ma organizzare una prova esclusivamente con queste caratteristiche rischia di trasformare l’elasticità in superficialità e di valorizzare la rapidità sopra ogni altra capacità.
Vediamo tutti del resto, come tale modalità si stia progressivamente affermando in moltissimi ambiti della formazione e della valutazione, non solo scolastica (esami, concorsi pubblici ecc…).
QUALE VALUTAZIONE ALLORA?
Innanzi tutto rivendichiamo l’importanza di coinvolgere i docenti nella costruzione di un meccanismo di verifica dell’intervento didattico, sottolineando proprio questa distinzione: verifica e non valutazione. E’ sicuramente vero infatti che, attraverso un confronto collegiale del proprio lavoro, i docenti possano arricchirsi delle esperienze degli altri e riflettere sul proprio operato, al fine di migliorare sempre di più il proprio intervento. Ma tali momenti, per essere veramente efficaci, dovrebbero essere costruiti collettivamente dagli insegnanti a partire dal proprio contesto lavorativo per poi misurare da lì i progressi raggiunti (ad esempio, attraverso prove di ingresso formulate insieme tra colleghi su alcuni obiettivi di base, monitoraggio in itinere e prove finali).
Il mancato raggiungimento di alcuni risultati, non dovrebbe certamente essere lo spauracchio di un declassamento salariale o di carriera, ma un segnale da indagare insieme per cercare di comprendere come migliorare.
Proprio il lavoro di indagine e di riflessione dei docenti su quali obiettivi perseguire in determinati contesti (classi con alto numero di stranieri o con difficoltà di altro tipo), frutto di osservazione e pratica sul campo, dovrebbe essere riconosciuto e valorizzato dal Ministero, che invece, piuttosto che incentivare ed eventualmente utilizzare questo tipo di impegno e sperimentazione (la quale, richiedendo tempo e lavoro, richiederebbe fondi e risorse adeguate), delega a strutture separate il compito di valutare, attraverso sistemi semplificati, un processo delicato e complesso come l’apprendimento, dando prova ancora una volta di non distinguere tra l’amministrazione di un’azienda e l’organizzazione di un sistema formativo.
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